domenica 14 settembre 2014

Una gita di piacere (Une partie de plaisir, C. Chabrol, 1975)

Claude Chabrol è (stato) un finissimo analista della borghesia francese e dei suoi vizi, basti ricordare lo stupendo Stéphane, una moglie infedele (1969). I suoi film sono lucidissimi, taglienti, dolorosamente onesti; orologi dai meccanismi perfetti. Non sfugge alla regola Una gita di piacere che, girato negli anni Settanta, non poteva che mettere a nudo fino a che punto s'erano spinti i "vizi" borghesi in quel decennio.

La trama è presto detta: Philippe (Paul Gégauff) invita la compagna Esther (la bellissima Danièle Gegauff) a frequentare - come fa lui - altri partner sessuali. È un invito legittimato da curvi ragionamenti filosofici, da una certa disinvoltura intellettuale: la promiscuità non sarebbe altro che una delle più nobili declinazioni d'un valore altissimo qual è la libertà. Esther, di umili origini, che viene sempre trattata come un'allieva inferiore, lo asseconda ("Tu conosci tutto", dice al compagno), ma finisce col provarci gusto. Insomma, non riesce a provare quel distacco richiesto dall'esercizio della libertà, così come immaginato da Philippe. C'è anche una figlia di mezzo. E iniziano i problemi.

C'è tanta letteratura, oggi, che riguarda la violenza degli uomini sulle donne, degli uomini senza donne. Philippe disprezza la sociologia. La tesi (giusta) del film è che la violenza sia pre-sociologica, che vada, cioè, oltre le differenze di classe e il livello di raffinatezza culturale raggiunto da un individuo; che essa sia - i Grandi Testi ce lo insegnano - un tratto universale dei rapporti tra uomini, e tra uomini e donne. C'è un'immagine significativa che viene proposta un paio di volte nel film, in cui vediamo Philippe, ogni volta con una compagna diversa, ma nella stessa situazione, in cui un pesce abbocca all'amo (cfr. la Fig. 1). Come dire, abboccano tutti all'esca dell'amore, e poi si fanno male. Questo, indipendentemente dal posto in cui le persone si trovano nella scala sociale. La violenza è connaturata a questo abboccamento; e - peraltro - si fonda su un'altra violenza: il sacrificio dell'esca (lo vediamo nella stessa sequenza del film). Essa esplode imprevedibile, incontrollata, fortuita; come accade, appunto, coi pesci che non si sa quando abboccheranno all'amo. Non c'è educazione che tenga, filosofia che fermi, libri che consiglino. Non c'è nulla che apparentemente possa prevenire quella esplosione. E, atrocemente, spesso non c'è un motivo.

Fig. 1 - Esche, abboccamenti, morte

Molto potente è l'effetto della rappresentazione, sapendo che Paul Gégauff (che interpreta Philippe) è lo stesso sceneggiatore del film, che Esther è la vera compagna nella vita, e la piccola Elsie (Clemence Gégauff) è la vera figlia della coppia. Il gioco di specchi diventa impressionante, e non privo di una certa morbosità. Sarà stato terapeutico per i protagonisti; ma, allo stesso tempo, è uno di quei giochi di specchi che replicano all'infinito un'immagine, impedendo qualsiasi via d'uscita anche a noi spettatori/giocatori. 

La descrizione del milieu borghese di quegli anni è riuscitissima. Ottima la fotografia. Bello il commento musicale. In gran forma gli attori, soprattutto Danièle Gegauff. A mio avviso, uno dei più bei Chabrol di sempre. Misantropo. (4/5)

Lettura complementare: A. & B. Pease, Perché gli uomini sono fissati con il sesso e le donne sognano l'amore?, trad. it. Milano, BUR, 2013 (http://www.rizzoli.eu/libri/perche-gli-uomini-sono-fissati-con-il-sesso-e-le-donne-sognano-lamore/).

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