martedì 30 settembre 2014

Calvaire (F. Du Welz, 2004)

Negli ultimi dieci anni, il cinema horror europeo (soprattutto francese e spagnolo) ha ricominciato ad avere un certo successo, subendo un interessante cambiamento di direzione stilistico. Si pensi, solo per fare un esempio, a [Rec] di Jaume Balagueró e Paco Plaza. Tale cambiamento di direzione ha essenzialmente raccolto la lezione americana di George A. Romero sull'horror come metafora delle post-società, contaminandola con le influenze del cinema europeo d'autore e un certo gusto per il "maltrattamento" (finto, estetizzante) della pellicola... e dei copri (la tortura estenuante è oramai un must). Calvaire, di Fabrice Du Welz, uscito nel 2004, è uno dei precursori di questo nuovo cinema. Un prototipo ancora immaturo.

Marc Stevens (Laurent Lucas) è un cantante e fantasista di provincia, che si esibisce un po' ovunque. Una specie di divetto, come potrebbero esserlo i nostri cantanti neomelodici, ma più figo. Va in giro su un furgone con una batteria che fa i capricci; e una sera buia e tempestosa, dopo essersi esibito in un ospizio, seguendo un logoratissimo cliché, si perde nel bosco...

Il "calvario" del povero Marc comincia, quando lo spiritato proprietario della locanda in cui è finito, un ex clown, lo comincia malauguratamente ad associare alla moglie che l'ha lasciato. Egli viene, insomma, gradualmente scambiato per qualcun altro, o meglio sarebbe dire per qualcun'altra. In fondo, il calvario più famoso non originò proprio da uno scambio di persona? 

Ma il calvario è anche sofferenza. Sicché, nel corso di tutto il film, chiunque cerca di "fottere" il beau Marc, e non in senso figurato. La prima è una vecchia signora dell'ospizio. La seconda, con un rovesciamento simbolico straordinario, la stupenda Brigitte Lahaie, raffinatissima porno-attrice dei favolosi anni Settanta, qui nel ruolo dell'infermiera dell'ospizio. Un gran coup de théâtre. Una delizia per cinefili (cfr. la Fig. 1). Chapeau

Fig. 1 - Specchi con immagini rovesciate

Dopodiché viene il clown, ma anche altri invidiosi e "ruspanti" villani dei dintorni, che stanchi di scapricciarsi con cagne e maialini, in assenza di donne, intravedono in Marc una "gustosa" alternativa (e un pensieretto a Ciprì e Maresco non è sfuggito). La tragica nemesi vuole che Marc sia ormai diventato Gloria (la moglie del locandiere) per tutti, con un bel vestitino a fiori e un taglio di capelli... nouvelle vague (cfr. la Fig. 2).

Fig. 2 - Nuova acconciatura

Se i morti viventi di Romero erano il capitalismo imperante che mangiava i suoi figli, i villani di Du Welz sono le società chiuse che, intese come risposta alla hobbesiana lotta per sopravvivere, in cui tutti ti vogliono "fottere", portano a uno sfascio sicuro (cfr. la Fig. 3), se non si aprono all'altro. Sulle clausure moderne, l'invito è a leggere il Bauman di Modernità liquida (2000), in particolare il capitolo sulla comunità. Ma non è un caso che, nel film, ci vengano proposte due emblematiche "istituzioni totali": l'ospizio e il villaggio sperduto (quest'ultimo, un classico topos del cinema seventies americano). 

Fig. 3 - Sfascio

Il finale del film resta aperto, ma senza motivi per sperare in una redenzione, attraverso il calvario cui viene sottoposto Marc/Gloria; crocifisso... per non fuggire.

Un buon prodotto, questo film di Du Welz. Se non altro, competente. Che manca un po' di ritmo e di tensione. Ma ben confezionato dal punto di vista dell'immagine e della mise-en-scène, senza indugiare nello splatter. Un antipasto della successiva evoluzione dell'horror europeo contemporaneo. Spirito(so). 3/5

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