lunedì 29 settembre 2014

The Sarnos: A Life in Dirty Movies (W. Ericsson, 2013)

Joseph W. Sarno (1921-2010) è stato uno dei più grandi maestri del cinema erotico di tutti i tempi. La parola maestro non è qui affatto abusata, e basta guardare alcuni fotogrammi d'uno qualsiasi dei suoi film (settantacinque, e tutti da lui sceneggiati con perizia) per capirlo. Ricordo la sorpresa, quando vidi il mio primo "Sarno", e cioè Butterflies, girato nel 1975. Grande cinema, capace di fissare su pellicola come pochi, e in modo estremamente coinvolgente, le altissime temperature del desiderio carnale.

Il documentario di Wiktor Ericsson rende omaggio al maestro, e lo fa benissimo. Con un lavoro onesto e delicato, appassionato e colto, nostalgico e sorprendente. 

L'onestà è tutta nei protagonisti, che vivono la cruda realtà di ogni giorno: Joe che cerca invano un produttore per la sua nuova (ultima) sceneggiatura; le bollette e le tasse da pagare, senza però una pensione su cui contare, nella cannibale, spietata società americana; le medicine per un cuore che non funziona più a dovere; la dedizione e preziosa collaborazione della moglie Peggy, compagna d'una vita, anche contro il volere della di lei famiglia. Una romantica, bellissima storia-nella-storia, che ci racconta, meglio d'un saggio sociologico, il lascito più alto della sperimentazione sociale degli anni Settanta.

La delicatezza è del giovane regista, Wiktor Ericsson, che tratta ogni argomento con estremo pudore. Lo stesso che spinse Sarno a lavorare sotto pseudonimo quando, negli anni Settanta, il genere sexploitation passò il testimone al porno. E, tuttavia, un porno che non mancò mai d'una sceneggiatura decente (anche se non richiesta, come confessa il maestro sarcasticamente) e di una recitazione (e coinvolgimento, come si racconta nel film) sopra gli standard del genere. Un porno caratterizzato da uno sguardo "rivoluzionario": quanto di più vicino si possa immaginare ad un female gaze, in questo tipo di cinema. Probabilmente, l'esito dell'elaborazione estetica marxiana di Sarno. 

La passione è, poi, quella di tutti i protagonisti di quegli anni, che non peccavano di quella incompetenza emotiva e artistica, di quell'assenza di peso specifico, che si ritrova nei film di oggi. Ma vi è mai capitato di confrontare i volti, gli sguardi, le espressioni, il linguaggio non verbale di quei film rispetto a quelli di oggi? Abissi incolmabili, pur nel Maelström dell'erotismo, diciamo così, "attivo". La ricostruzione di Ericsson, poi, è da temeraria archeologia del cinematografo, da vecchio nerd in crisi d'astinenza, da innamorato, irrequieto, nostalgico spettatore d'altri tempi.

E sì, la nostalgia è, forse, "il" tema del film. Assolutamente in sintonia con la cifra dell'età postmoderna. Ma anche nel senso strettamente etimologico del termine, nel senso cioè di un άλγος, d'un dolore che prende, nel riconsiderare l'epoca pionieristica del cinema sexploitation e softcore degli anni sessanta-settanta. Lo spiega bene il grande John Waters, in un passaggio del documentario. Ed è a questo punto che si fa vivo l'inscindibile nesso eros-morte. Alla tensione nostalgica, s'affianca presto un'intenerita riflessione sulla caducità umana, uno sguardo affettuoso sulla schiena china di Sarno alla macchina da scrivere. Un apostrofo triste, lenito solo alla fine da un articolo postumo del New York Times, che omaggia il suo figlio illustre dell'East Coast, andato a cercar fortuna nella civile, aperta, tollerante Svezia. 

Il cinema di Sarno è una felice, sorprendente scoperta per i giovani critici, cineasti, cinefili contemporanei, che - avendone sentito parlare solo come regista di "dirty movies" - hanno invece scoperto un maestro. Vedere (o sbirciare avidamente gli inserti di questo stesso documentario) per credere... e farsi venire una gran malinconia. Crepuscolare. 4/5

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