sabato 17 marzo 2018

Il filo nascosto (Phantom Thread, P.T. Anderson, 2017)

La forma de Il filo nascosto, l'ultimo film di Paul Thomas Anderson, si nota e ammira subito: è pressoché perfetta. Perfetta come uno dei magnifici vestiti disegnati e realizzati dal sarto Reynolds Woodcock, interpretato da Daniel Day-Lewis; vestiti destinati a regnanti e membri della classe affluente europea. Ci si immerge, così, in un film classico e di classe, come accade già da un po' di tempo coi lavori del regista statunitense.

Poi, però, guardando meglio, qualcosa comincia a non quadrare. Quando meno te l'aspetti, il vestito si strappa (non solo metaforicamente). La sceneggiatura prima s'increspa, e poi si agita. Accade qualcosa di radicalmente imprevisto, che spiazza anche in modo violento, pur all'interno d'una messa-in-scena impassibile (anche nel dolore) e di una confezione che continuano ad evocare altro. Lacune ed ellissi ci spostano improvvisamente verso nuovi registri e territori.

Tutto il film ha questo ritmo, che procede per traumi ed epifanie. È lento solo in superficie. Forma e calligrafia sono ingannevoli come certi tessuti semplici ma pregiati. Siamo quasi dentro a un thriller. Lo svolgimento della narrazione ci riserva personaggi che si trasformano, cambiano maschera e ruolo, si scambiano le parti. Esattamente ciò che accade alle persone quando cambiano abito. C'è, ad esempio, un momento del film, quando il dottor Hardy va a far visita per la prima volta al protagonista, in cui possiamo vedere perfettamente il punto in cui le traiettorie delle protagoniste femminili del film (Cyril, la sorella di Reynolds, e la cameriera Alma Elson) s'intersecano e coincidono (esse dicono le stesse cose, facendosi eco reciprocamente) per poi divergere, ma con traiettorie opposte. Sembrano i movimenti dell'ago e del filo che va e viene, entra ed esce da un'altra parte.

Reynolds è un uomo algido. Non spoglia le donne, le veste. Sembra, in apparenza, non potersi concedere certe "distrazioni". Vive in un mondo di regole, che coincidono con le trame perfette dei tessuti che adopera. Egli stesso, tuttavia, nasconde in ogni vestito un dettaglio, una scritta, un messaggio - un mistero forse - che lo rendono unico. Nella vita del sarto, questo mistero si palesa nell'enigmatica figura di Alma. Una donna semplice, forse ordinaria nelle fattezze, ma che cela insospettabili potenzialità (come indossatrice, ad esempio), nonché una forza ad una vitalità in alcuni casi sinistre, le quali finiranno con l'introdurre il caos ed il perturbante nella meccanica perfetta del mondo di Reynolds. La dialettica diventerà quella tra vittima e carnefice, ma non in un unico senso, bensì in una complessa relazione di complicità che sembra volere esplorare, con un'eleganza straordinaria, l'esercizio del potere all'interno di una coppia. 

Ad un livello macrosociologico, invece, Reynolds e Alma riproducono la dinamica tra distinzione e imitazione, messa in evidenza dalla riflessione classica di Georg Simmel sulla moda. Qui, tuttavia, ritorna la struttura a clessidra già emersa nelle traiettorie delle due protagoniste femminili del film: Alma e Cyril. Il classico effetto trickle-down si rovescia. Nulla sembra mai scontato. Il filo che ha bucato il tessuto può rispuntare improvvisamente da un'altra parte. Quel filo è anche il tempo, che irrompe sulla scena nella sequenza della riparazione del vestito da sposa della principessa del Belgio. Il tempo che cambia cose e persone, si nasconde e ritorna, imponendoci una realtà a geometrie variabili ed un finale ambiguo.

La macchina da presa registra la realtà di questo mondo in modo discreto. Le inquadrature sono spesso eccentriche (fuori centro), oblique, giocate sulla profondità di campo delle ottiche. È come se sbirciassimo la vita della coppia da un punto d'osservazione imperfetto, che mette però in discussione la labile soglia tra pubblico e privato, rappresentazione e retroscena. Ci sono molte porte. Noi è come se ci trovassimo sempre in mezzo. Come avviene nel trambusto della scelta d'un abito, per un'occasione particolare, ci troviamo a metà strada tra l'armadio e la scena; scena di cui il vestito è un elemento cruciale. Forse, in questa regione liminale, ci viene anche chiesto di decidere da che parte stare.

Dopo Vizio di forma (2014), Paul Thomas Anderson gira un altro grande film che si va ad aggiungere alla sua piccola galleria di classici contemporanei, proponendoci un lavoro d'alta scuola registica. Un lavoro in cui tutti gli attori recitano in modo impeccabile, con una menzione particolare riservata alla semi-sconosciuta (almeno per me) e sorprendente Vicky Krieps, nel ruolo di Alma Elson. Giustamente candidato a numerosi premi. Mai, come in questo caso, il libro non va giudicato dalla copertina e va letto. 4/5

La video-recensione de Il filo nascosto. 

PS. Se vi trovate a Caltanissetta, nei prossimi giorni, e v'incuriosisce il mondo dell'alta sartoria, fate un salto alla mostra: Magnificenza e Trame d'Arte, a Palazzo Moncada, fino al 22 Aprile 2018. Magari dopo aver visto il film al cinema...