martedì 29 marzo 2016

La Dame dans l'auto avec des lunettes et un fusil (J. Sfar, 2015)

Mi capita di pensare, ormai con una certa assiduità, che - a parte per l'impiego di svariate diavolerie digitali - il cinema abbia oramai esaurito gran parte delle sue possibilità espressive. Ebbene, La dame dans l'auto avec des lunettes et un fusil (2015), di Joann Sfar, è uno di quei film che ti fa cambiare immediatamente idea.

La segretaria Dany (interpretata da una bellissima e bravissima Freya Mavor) viene ingaggiata dal capo (Benjamin Biolay) per un incarico extra a casa sua. Nonostante alcune ambiguità circa la natura dell'incarico e le intenzioni della moglie del capo (Stacy Martin), Dany porta a termine il lavoro, ma ora deve ritornare a casa...

Mescolando quasi una decina di sottogeneri, con una colonna sonora ispirata e frizzante, utilizzando tecniche di ripresa e montaggio vecchie (ad esempio, lo split-screen, che rimanda al primo De Palma, qui fatto scorrere come le strip d'un fumetto) e nuove (l'editing "a scomparsa", che suggerisce la fantasmaticità della narrazione quotidiana), sfruttando una fotografia da rotocalco per signora degli anni Settanta e una manciata di grandi idee d'autore, Sfar è riuscito a confezionare un discorso d'alta scuola sul cinema come illusione, sulla paura e il desiderio.

Facendo leva su tecnica e intreccio, il regista è capace di farci vedere simultaneamente sia la storia di Dany così com'è, sia come lei avrebbe voluto che fosse. È come se la protagonista guardasse un film di cui è protagonista. L'escamotage ha una doppia valenza: da una parte, allude al lavoro psichico degli individui, ai suoi dilemmi, alle sue aporie, alla complicata struttura del desiderio, che fa della mancanza, dell'ellisse la sua matrice essenziale; dall'altra parte, la messa in scena ci interroga sul nostro ruolo di spettatori che masticano le paure in sicurezza, favorendo la nostra ginnastica ermeneutica. Il gioco di specchi, così, si amplifica e diventa labirintico, sebbene il regista non ci faccia mancare alcuni ausili per orientarci (geniale la mappa stilizzata dei movimenti dei protagonisti nella notte, servita su split-screen). Ci sono i doppi dei doppi, il caso gioca il suo ruolo e diventa caos dal punto di vista dei singoli. Esso è semplicemente un ordine che non si capisce, come voleva H. Miller (Tropico del Capricorno)Le traiettorie s'incrociano, viaggiano parallele per un po', e poi si separano. Il destino si scrive e si riscrive continuamente, come la verità (un tipico tema rohmeriano).

La dame dans l'auto avec des lunettes et un fusil è un gran bel film, che potrebbe ambire allo status di classico. Capace di catturare vari tipi di spettatore, ma profondamente stratificato e complesso al suo interno. Una delizia per cinefili. Se tecnicamente ricorda molto De Palma, i riferimenti ad altri maestri non mancano (i maestri del "giallo" italiano, la nouvelle vague francese, soprattutto Chabrol, lo Scorsese di After Hours, e poi Ulmer, Lynch, Tarantino, Spielberg...). Ma il riferimento più denso, una densità che si può quasi toccare, credo sia quello ad Alfred Hitchcock, non a caso il padre spirituale di De Palma: un persona normale (innocente) precipita improvvisamente in una dimensione fuori dall'ordinario (o viene incolpata ingiustamente), e deve provare a uscirne. Un po' ciò che diceva Adorno sul jazz: "getting into trouble and out again" (in Scritti Sociologici, Einaudi, Torino, p. 293). Non c'è la stessa sapienza del maestro nel dosare bene gli ingredienti, non c'è la stessa leggerezza di tocco, ma ci siamo molto, molto vicini.

Cinema d'altri tempi (si tratta d'un remake, a sua volta tratto da un romanzo di Sébastien Japrisot) in salsa postmodern. Forse ho ragione, non ci sono più i film d'una volta. Ma quelli d'una volta possono essere fatti ancora meglio. Quasi un capolavoro. Fumettaccio bipolare. 5/5

Il trailer del film