venerdì 20 novembre 2020

Liberté (A. Serra, 2019)

Impressionante, non tanto per quello che si vede, quanto per quello che NON si vede. Resoconto notturno, nel rispetto delle classiche unità aristoteliche, d'una impossibilità e d'un fallimento: quello del piacere, ma soprattutto della ragione; entrambi centrali nell'età dei lumi. Aufklärung negativa, che ci parla della ricerca del profondo "alla luce del buio". Disperato e disperante, può ricordare il Salò pasoliniano, anche se qui si battono altre strade, nonostante le medesime allusioni a Sade e la presenza d'un sottotesto politico sia nell'uno sia nell'altro. Film estremo, da ogni punto di vista. Tecnicamente, un lavoro gigantesco di riflessione sui modi della rappresentazione. Sarà certamente incluso nelle letterature di genere. Senza voto, indecidibile.

domenica 15 novembre 2020

Midsommar - Il villaggio dei dannati (Midsommar, A. Aster, 2019)

Quasi un ideale successore de La montagna sacra (1973) di Alejandro Jodorowsky, Midsommer - Il villaggio dei dannati (2019), di Ari Aster, è un film sulla presenza dolorosa e opprimente delle convenzioni e del simbolico nella vita degli individui, che mette in drammatica e irriducibile antitesi l'individuale e il collettivo. Esso sembra ricalcare certa letteratura che, nelle scienze sociali, ha svelato in modo eclatante la centralità degli aspetti normativi dell'agire: S. Asch, S. Milgram, P. Zimbardo. In un certo senso, potrebbe rappresentare il resoconto d'un esperimento sull'obbedienza andato a male.

Il film è costruito come un discorso formulato dall'inconscio, un sogno-incubo, un lavorio allucinato (di qui la continua allusione alle droghe) che prova a fare i conti con un reale insopportabile, compreso l'evento del lutto. Ma, laddove - in Jodorowsky - il simbolico e la sua sovversione venivano lasciati liberi di sprigionare tutto il loro potenziale anarchico, qui invece, con l'opera di Ari Aster, abbiamo una struttura del tutto coerente, una teoria, una tesi da dimostrare, come quella che due dei giovani protagonisti devono scrivere sulle tradizioni del villaggio svedese che li ospita.

La teoria è che non si può prescindere dai rituali imposti dalla società. Anzi, gli si deve obbedire. Tanto più, quando questa società è chiusa, quando si fa "comunità" di sangue (Gemeinschaft, per usare la categoria sociologica di Tönnies). Si vedono, così, tutti gli estranei al villaggio, gli ospiti americani, coinvolti e anzi "spinti" a partecipare, loro malgrado, alle varie attività tradizionali e quotidiane promosse dagli indigeni. La chiusura, tuttavia, può allontanare la legge (che è anche legge religiosa) dalla morale, quando la prima viene "recitata" in modo automatico, autoreferenziale. E qui la teoria del film diventa teoria "politica" e ci ricorda tanto horror sull'America profonda degli ultimi anni.

C'è, comunque, un bisogno forte a cui dà risposta la comunità: la condivisione del male, per curarne le ferite, per lenirne il dolore. Cosa che, forse, può spiegare l'atrocità del resto... Questa precisa funzione sociale della comunità viene rappresentata nel film, in più occasioni, in modo potentissimo; rappresentazioni che, da sole, valgono il prezzo del biglietto. Ma un micro caso-studio viene già anticipato nel prologo del film, quando osserviamo la relazione di coppia tra Dani e Christian; una relazione d'aiuto, e probabilmente solo quello. La coppia-diade, del resto, è la prima e più elementare forma di gruppo sociale. Dani e Christian, man mano che la storia prosegue, si allontanano, ripercorrendo a ritroso l'evoluzione dalla famiglia moderna nucleare a quella estesa e patriarcale, dimostrando - come voleva Durkheim - l'inadeguatezza della prima in un contesto comunitario e premoderno.

Il supporto comunitario ha perciò un costo: la perdita dell’io e del suo corpo fisico. Nella comunità non si agisce, si è lacanianamente “agiti”, non si parla si è “parlati”. Di qui la dannazione: c’è un orrore della realtà (e della libertà) e un orrore della sua sublimazione nella società-comunità. Non sembra esserci soluzione. La teoria si rivela un'aporia. Non resta che scegliere come uccidersi, come - letteralmente - "farsi fuori".

Midsommar è un grande film, che fa del sublime la sua cifra estetica. E, del resto, tratta del resoconto d'una sublimazione. Notevolissima e riuscita, in questo senso, la scelta (e l'impresa) di realizzare un horror alla luce del sole, abbagliante. Gli elementi d'interesse e le chiavi di lettura sono tantissimi. Il film è un enorme giacimento di simboli da decifrare (quasi un linguaggio) e, in questo senso, può proporre qualcosa di nuovo ad ogni lettura. Non ho qui toccato, ad esempio, la questione della simbologia norrena. Regista-autore da tenere d'occhio. Esperienza della visione e tensione a livelli altissimi. 4/5