venerdì 16 settembre 2016

V.M. 18 (I. Santacroce, 2007)

V.M. 18, di Isabella Santacroce, è un romanzo pubblicato da Fazi nel 2007. 

Inutile cercarlo nelle librerie: è esaurito da tempo. Io me ne sono riuscito a procurare fortunosamente una copia su e-Bay.

Il libro racconta il libertinismo e le perversioni d'una collegiale, l'Ich-Erzähler del romanzo, non ancora giunta alla maggiore età, la quale con due sue compagne, ribattezzatesi per l'occasione con l'appellativo di "spietate ninfette" (Desdemona, Cassandra e Animone), mette a ferro e fuoco un tranquillo istituto per fanciulle d'una non precisata città, in una non precisata epoca (io l'ho immaginato un po' steampunk, ma è verosimilmente ambientato in epoca tardo ottocentesca). 

V.M. 18un titolo che ricorda i vecchi flani esposti nei cinema porno degli Settanta, è il primo capitolo d'una trilogia vagamente ispirata alla Commedia di Dante, che si completa con Lulù Delacroix (2010) e Amorino (2012). 

La struttura del romanzo, invero, ricorda più che altro le Centoventi Giornate di de Sade, forse il riferimento "ideologico" più esplicito nel libro. Come nel caso di de Sade, si può dire che l'opera è "erotografica" e non pornografica, seguendo l'avvertenza di Gianni Nicoletti, nella premessa all'edizione pubblicata da Newton Compton della più nota opera del marchese, in quanto lo scopo primario del romanzo non è l'eccitazione sessuale, quanto "il suo costituirsi in sistema".

La lista di atrocità (vengono commessi svariati abusi e delitti nelle più diverse forme) e parafilie (feticismo, sodomia, soffocamento, zoofilia, coprofagia, fisting, pedofilia, incesto e via catalogando), sempre descritte con dovizia di particolari, è amplissima e da far invidia alle più articolate raccolte proposte dal dark web contemporaneo. Il tutto incorniciato in un'ordine algebrico, ossessivo e levigato, ed in eccedenti perimetri di numeri e paragrafi indentati.

L'estetica della catastrofe, catastrofe nell'accezione delle scienze fisiche, è intensissima, ed amplificata dalle lussureggianti invenzioni scenografiche descritte dalla Santacroce. Si prenda questa: "Nel gran vestibolo, rigorosamente di scure e varie tonalità verdastre, caratterizzato per la verticalità delle pareti spartite in tre ordini, con doppie colonne incassate nel muro, mensole a voluta, finestre edicola timpanate, incorniciate da lesene insolitamente rastremate verso il basso, v'era la scalinata che portava alle stanze, la cui struttura a pontile, con rampa centrale e gradini ellittici, era preannunciata da uno smisurato orologio nero lucente dalla sferica forma, che dal soffitto pendeva come un grosso cranio di un oriundo dell'Africa" (pag. 29).

Un'altra sorgente poetica è data dalle rappresentazioni degli effetti sulla mente delle droghe composte nella farmacia artigianale dalle spietate ninfette, soprattutto il famigerato "cocktail reietto". Sono descrizioni fantasmagoriche, inimmaginabili e riuscitissime, che sembrano affiorare da una versione lisergica e deragliata di Alice in Wonderland.

Il simbolismo occulto è una terza matrice del romanzo, forse la meno sviluppata, ma di cui è facile riconoscere la declinazione pop-rock, a partire dall'omaggio ad Aleister Crowley, leggendario alchimista. Ciononostante, non vi è il satanismo a ispirare la condotta delle spietate ninfette, bensì la stessa adorazione di Dio, la cui teologia viene qui interpretata in modo quantomeno inedito e fuori squadra.   

Santacroce, che in passato è stata annoverata nel gruppo letterario dei Cannibali, è senza dubbio una scrittrice di talento, che sa quello che scrive e come lo scrive. Il suo stile non è affatto anarchico. È un sistema, una cosmogonia, che si muove con disinvoltura in uno spazio letterario totale, che va dai classici della letteratura antica e latina ai manuali di medicina, dai testi religiosi al romanzo gotico ottocentesco, fino ai tomi di diritto, senza timore di confrontarsi con i rispettivi lessici specialistici. Non credo di forzare l'interpretazione, affermando che l'approccio non è estraneo al lavoro fatto sul linguaggio da Carlo Emilio Gadda. Un lavoro enorme, che consente a Santacroce di trasfigurare la realtà, di renderla icasticamente presente e allo stesso tempo impossibile ("I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo", scriveva il Wittgenstein del Tractatus) o insostenibile. Non manca qualche cedimento, nelle cinquecento pagine del libro, e a volte i termini utilizzati non sembrano essere al posto giusto (o nell'epoca giusta). Tuttavia, direi che, complessivamente, l'operazione è molto ben riuscita.

La coazione a ripetere è certamente una delle cifre stilistiche del romanzo. Si leggono passaggi ripetuti in modo estenuante, che ricordano una frenetica attività copulatoria. La sintassi, inoltre, è rivoltata come un guanto (questo è l'aspetto che salta più all'occhio, all'inizio). Essa viene manipolata e (per)vertita (nel senso che ne viene cambiato il verso), allineandosi alle perversioni di Desdemona. Il periodare è masturbatorio (in certi passaggi, obiettivamente, troppo involuto e contorto). Le frasi vengono spacchettate e il senso dislocato alla fine, perché il piacere va freudianamente differito. Tale differimento, infatti, permette la costruzione di esperimenti mentali che sondano le diverse vie possibili di soddisfacimento della pulsione erotica o di morte, facendo così da presupposto per lo stesso lavoro creativo. Del resto, "la moltiplicazione, la variazione, la complicazione, soprattutto la ripetizione, l'accumulo e l'amplificazione [...] sono caratteristiche comuni della letteratura erotica" (Nicoletti, nella "Prefazione" a Le 120 Giornate di Sodoma).

La scrittura è orizzontale, fatta di associazioni, schemi e classificazioni. Queste ultime rimandano esplicitamente agli atlanti di anatomia, alle categorie nosografiche, alle tassonomie delle scienze naturali. Le persone stesse sono viste come corpi freddi o parti di corpo, dissezionate o ingrandite come sul letto del chirurgo (un tema, ancora, prettamente sadiano), il che rimanda all'operazione compiuta sul corpo dal potere dello stato moderno, e denunciato da Foucault in numerosi saggi, o da Pasolini nel suo Salò. L'odore di formalina sembra uscire a zaffate dalle pagine del libro. E, per inciso, proprio la disinfezione e la bonifica dagli odori sgradevoli sembra essere, curiosamente, una delle ossessioni di Desdemona.
    
V.M. 18 è quanto di più estremo mi sia mai capitato di leggere. Un giudizio morale mi pare inutile e fuori luogo, anche se credo l'autrice abbia messo abbondantemente in conto lo scandalo. L'elemento rilevante da considerare, piuttosto, è che qui ogni abuso viene asservito alla logica di una legge. Abbondano codici, regolamenti, paradigmi, che quantunque ispirati all'abisso della ragione (come la religione, del resto), conferiscono legittimità logica e procedurale alle gesta delle spietate ninfette. La stessa forma ritualistica delle azioni più turpi istituisce queste ultime come espressione di una religiosità negativa. 

La legge può anche essere quella della natura. De Sade, citato in epigrafe, infatti, scriveva: "Se la natura disapprovasse le nostre inclinazioni, con ce le ispirerebbe". Essa, dunque, è necessaria per dischiudere il piacere. Ogni libertà, senza un limite, è priva di significato. Lo spiega sin dalle origini la teoria psicanalitica e, con una riflessione gigantesca, Lacan; ma anche, con parole sue, Carmelo Bene: "quando la minchia è tanta...".

I risvolti politici di tale approdo ci interrogano, a questo punto, drammaticamente, sulla capacità di costruzione del vero da parte della legge - anche di quella sbagliata; ci interrogano sul dominio della procedura ipertrofica, sistemica, autoreferenziale (Niklas Luhmann), a scapito del senso e dei valori, nel diritto moderno; ed aprono a questioni di un'ampiezza straordinaria, che ovviamente non è il caso di affrontare in questa sede.
   
Quanto alla presunta capacità di certa letteratura (e di certo cinema) di favorire vizi e impulsi criminali, rimando alla cospicua produzione scientifica che ne ha ampiamente falsificato le premesse. 

Credo che V.M. 18 diventerà un piccolo classico. Certo, si astengano categoricamente dalla lettura i lettori più impressionabili e pudibondi, se mai dovessero trovare questo libro proibito... Enter at your own risk. 4/5

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