giovedì 8 settembre 2016

King of the Belgians (P. Brosens e J. Woodworth, 2016)

L'estasi (da ex, fuori, e stasis, "lo stare") è letteralmente l'"essere fuori da se stessi". Il termine è inteso, più specificamente, come un particolare modo di essere fuori da se stessi, che ha a che vedere con l'esaltazione dello spirito o con l'ascesi.

Ebbene, King of the Belgians, di Peter Brosens e Jessica Woodworth, presentato a Venezia 2016, è il racconto dell'"estasi" di un immaginario re del Belgio, Nicholas III, che - bloccato in Turchia da un incidente politico - deve provare a far ritorno al suo Paese. Per far questo, come Ulisse, gli tocca intraprendere un difficile viaggio attraverso un'Europa "minore", che sembra venir fuori dall'iconografia fiamminga e da certi cataloghi fotografici d'architettura socialista (ad esempio, questo).

Si tratta di un ritorno, di un nostos, metaforico; di un richiamo ad un'Europa perduta, rievocata da una colonna sonora composta prevalentemente da musica classica. Non, tuttavia, la musica di quella Europa "minore", balcanica, in cui si svolgono le vicende del film, bensì quella del canone germanico o centro-europeo. Così, il fatto che musica, eventi e paesaggi diversi non sembrino essere in conflitto assieme, e anzi convivano felicemente, fa da lezione di metodo per un'Europa che oggi s'interroga sulle sue piccole patrie, che è una babele di linguaggi (nel film si parlano svariate lingue), che ha smarrito valori e identità, che esiste solo nei diorami di mini-europe, ai piedi dell'Atomium di Brussels. 

Rifacendosi alla fantapolitica grottesca (mi vengono qui in mente il Saramago del Saggio sulla lucidità e lo Houellebecq di SottomissioneKing of the Belgians è un road movie balcanico, con mezzi improbabili e nemici da cartoon, che attraversa vari paesi dell'Est: Turchia, Bulgaria, Serbia, Montenegro, Albania. La progressiva uscita da se stesso del mutissimo Nicholas III (un fantastico Peter Van den Begin), la sua e-stasi, riesce a comunicare un'intensa, catartica felicità allo spettatore, che non può non condividerne lo smarrimento iniziale. Significativo, che tale uscita avvenga per opera dell'arte: la musica (pure quella folkloristica delle ballerine bulgare), ma anche il cinema (il film consiste nel materiale grezzo girato dal fotografo del re, ironicamente scritturato per esaltarne la figura). Da antologia, il ballo del re ubriaco sotto un cielo cianotico, accompagnato dalle note del Boléro di Maurice Ravel.  

Nel film di Brosens e Woodworth, a un certo punto, la politica diventa inaspettatamente poesia; poesia del quotidiano e delle piccole cose. Epifania. Autenticità spinta dal bisogno e dalla crisi. Saggio sulla descrescita felice dell'ambizione e dell'avidità. Verso la fine del film, il re è letteralmente nudo, mentre i suoi compagni di viaggio, senza nemmeno i documenti, sono apolidi della vita. Il finale è una sintesi dialettica, un conforto retorico, ma non inutile. Una proposta di speranza, un po' come questo semplice, ma toccante discorso del re Harald di Norvegia: http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/06/news/re_di_norvegia_harald_migranti-147258544/?ref=fbpr. Bello assai. Voto: 4/5. Evviva il re?

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