mercoledì 13 giugno 2018

L'estate di Camerina (M. Tomassoli, 2012)

L'estate di Camerina è una raccolta di nove bellissimi racconti, scritti da Mauro Tomassoli: "La festa", "I due amici", "La pallina da ping pong", "La partita di tennis", "Sputi", "Il professore martire", "Il sorpasso difficile", "La sparizione della pistola", "L'estate di Camerina". 

Ogni racconto condivide con gli altri una stessa condizione: la mancata risoluzione della storia. È il resoconto di un alibi, il documento d'una debolezza, la denuncia di una paralisi, che sembra rimandare direttamente alla poetica Joyciana. L'azione è sempre fermata un passo prima di compiersi. In un modo o nell'altro, spetta al lettore decidere di compierla o farla compiere al protagonista di turno; gli spetta completare il quadro. Addirittura ne "La sparizione della pistola", gli viene chiesto di calarsi nei panni del detective. Il finale di questo racconto ricorda moltissimo l'ultima sequenza di Roulette Cinese di R.W. Fassbinder, oltre a portare alla memoria il Centodelitti di Giorgio Scerbanenco (Garzanti).

Tomassoli ci propone una piccola epistemologia del gesto, che trova una sponda affatto deserta nelle arti e nel cinema contemporanei. Un riferimento immediato potrebbe essere quello della ricerca operata dalla pittura impressionista sullo sguardo (cfr. Stoichita, Effetto Sherlock, il Saggiatote). Oppure si pensi all'Amleto di Laforgue, poi riletto da Carmelo Bene.

Alla riflessione sull'opacità, il pudore, l'impossibilità del gesto, specie se risolutorio, s'accompagna la dimestichezza con le lacune, le ellissi, le mancanze, che della letteratura sono vero e proprio elemento vitale (Gardini, Lacuna, Einaudi). Mauro Tomassoli sembra volerne definire la ricchissima tassonomia. La lacuna, poi, s'arriva quasi a toccare nello straordinario passaggio dell'ultimo racconto ("L'estate di Camerina"), in cui Adelaide comunica con Niki scrivendogli col dito sulla schiena, in una sorta d'esperimento di deprivazione sensoriale.

Il ritmo della prosa non manca mai. Si procede nella lettura senza alcuna fatica, ma allo stesso tempo avvertendo la fortissima tensione dialettica tra intenzione e gesto, che caratterizza ogni storia. Tutto funziona, però, perché c'è anche un ingrediente segreto nella formula narrativa di Tomassoli, che si arriva a scorgere, forse, solo alla fine. L'autore, infatti, è molto bravo a rendere familiari tutti i contesti del suo "discorso sul noumeno", tramite dialoghi, rituali, sfondi. Anzi, egli tratta, più precisamente, della familiarità perduta, della "nostalgia" (per qualche motivo, mi è spesso venuto in mente Cesare Pavese). In questo modo, il suo è un discorso che tematizza la topologia del/nell'intreccio, lo spazio (che spesso è proprio il responsabile della rinuncia alla responsabilità del gesto) e il tempo, che spesso allude al montaggio cinematografico. Entrambi aspetti definitori del concetto si nostalgia (Barbetta, La follia rivisitata, Mimesis). I racconti si aprono ("La festa") e si chiudono all'insegna d'una fortissima nostalgia, tra maturità e infanzia, come tra due parentesi o come tra i due lati d'un sipario.

A questo punto, sembra affiorare la soluzione, la terapia per il dolore del ritorno: esso va spostato all'infinito (l'eterno ritorno); bisogna impedire al gesto di compiersi, affinché si possa sempre pensare di tornare ad Itaca, ché nulla è perduto. Sembra, così, d'averla (già) vissuta quell'estate a Camerina, e non resta che riviverla, senza naturalmente mai concluderla. È la legge del desiderio, che rende questa bellissima raccolta un piacere raro.

Mauro Tomassoli, L'estate di Camerina, Roma, Avagliano, 2012.

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