mercoledì 3 febbraio 2016

Attenberg (A.R. Tsangari, 2010)

Con la fredda lucidità dell'entomologo (l'allusione ai lavori documentaristici di sir David Attenborough, qui storpiato in "Attengerg", non è casuale) Athina Rachel Tsangari racconta la formazione sentimentale e il passaggio alla maturità della giovane e anaffettiva Marina (interpretata da Ariane Labed, qui bravissima).

L'habitat di Marina sembra sopravvissuto ad un'esplosione nucleare, è un universo post-sociale, fatto d'istinti, in cui sembra mancare qualsivoglia mediazione culturale, come ci mostra brillantemente lo stesso lavoro di composizione della Tsangari. Il paesaggio sonoro quasi coincide col rumore di fondo. Il dominio della tecnica è messo tra parentesi. Quest'ultima non sembra (drammaticamente) poter avere alcun impatto sugli individui; al limite, svolge una mera funzione "diagnostica" o ancillare (un CD player portatile, che ogni tanto riproduce musica bebop). Non c'è, praticamente, la TV.


Fig. 1 - Mimesis

La comunicazione di Marina e dei suoi simili è fatta di rapidi scambi di fonemi, versi primitivi, posture animalesche, e boccacce (letteralmente) (cfr. la Fig. 1). La sintassi è generata da assonanze. In alcuni momenti, sembra pure che la regressione in una forma animale possa davvero aver luogo (cfr. la Fig. 2).


Fig. 2 - Prove di fuga

Probabilmente, vediamo tutto con gli occhi e la mente di Marina, la quale - nella sua difficile sfida per entrare nel mondo adulto - prova l'arte della fuga ed i funambolismi dei più piccoli. Se è così, l'esercizio è straordinario.

Marina si muove verso la nuova fase della sua evoluzione con i movimenti idromeccanici assicurati da due traghettatori: il padre (Vangelis Mourikis), l'unico portatore (malato) di una qualche coscienza storica della Grecia moderna, e un ingegnere conosciuto a lavoro con cui sperimenta il sesso (niente po' po' di meno che Yorgos Lanthimos, il quale sulle morfogenesi linguistiche ha diretto dei veri e propri film saggio), rispetto ai quali fa, in qualche modo, da canale di trasmissione e sponda l'amica Bella (Evangelia Randou).

Non c'è una morale. Non c'è una spiegazione. Solo descrizioni ed ellissi.

Attenberg è un film notevolissimo (premi e nomination inclusi), che non mancherà di suscitare, anche nello spettatore più addomesticato, spunti di riflessione e qualche sussulto emotivo. Lavora per sottrazioni e dislocazioni, attorno alle quali prolifera il desiderio, fa ricorso a forme pure ed archetipi, ed è fortemente anti-narrativo, come un catalogo di mobili nordici; ma funziona con una meccanica quasi perfetta. Si resta attaccati allo schermo sino alla fine, senza alcuno scampo. Un film verista. 5/5

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