domenica 2 novembre 2014

Venere in pelliccia (La Vénus à la fourrure, R. Polański, 2013)

Bravò, monsieur Polański! Gran bel film questo Venere in pelliccia, che riprende l'adattamento di David Ives da Leopold von Sacher-Masoch.

La sequenza iniziale è un'entrata a teatro, che sottintende un viaggio, ma rimanda anche alla prima pagina d'un libro (un copione?) da iniziare a sfogliare. Thomas (Mathieu Amalric) è un regista, che sta effettuando dei provini per un adattamento della Venere in pelliccia; un adattamento ch'egli stesso ha scritto. Dopo una giornata abbastanza deludente, sta per andar via, ma si vede improvvisamente arrivare Vanda (la monumentale Emmanuelle Seigner), una delle candidate della giornata: in ritardo, trafelata, e fradicia di pioggia. Thomas le dice che ha chiuso le audizioni per quel giorno. Vanda insiste. Ma sembra troppo stupida, impreparata e volgare, per riuscire a ottenere la parte. Che accade? 

Accade, in primo luogo, che assistiamo alla miracolosa metamorfosi della Seigner, non appena comincia a recitare le prime pagine del copione scritto dal regista (i cambi di registro dell'attrice nell'entrare e uscire dal copione sono da premio alla carriera). La sequenza in cui i due prendono un immaginario caffè è cinema da grandi firme, e potrebbe diventare un classico d'antologia. Mi ha fatto venire in mente la celeberrima scena del nichelino, ne Gli ultimi fuochi di Elia Kazan (1976), con Robert De Niro. 

La messa-in-scena di Polański è asciutta, severa e senza esitazioni. Thomas e Vanda cominciano una vera e propria tenzone privata. E il sottotesto del film prende letteralmente corpo. Polański riflette sul potere e i rapporti di dominio (è probabile che l'esperienza della detenzione ne abbia amplificato la ricettività al tema). È un potere foucaltiano: «Quel che fa sì che il potere regga […] è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del sapere, produce discorsi» (M. Foucault, Microfisica del potere, 1977). In particolare, qui è la dialettica servo-padrone che viene declinata su più strati: la tirannia del regista sugli attori, la relazione mistress-schiavo, i rapporti uomo-donna. Ma la grande intuizione del regista è quella di farci riflettere su questi rapporti invertendo i ruoli (cfr. la Fig. 1) e giocando sull'ambiguità tra scena e retroscena con un'abilità straordinaria, grazie anche a due attori coi fiocchi. Provando a violare i codici sociali, Polański ci fa riflettere sull'ordine che li sostiene.


Fig. 1 - La mise-en-scène di Vanda

A un certo punto la distanza tra realtà e finzione (ma anche tra cinema e teatro) si satura, tanto che lo spettatore non si rende più conto se i due protagonisti stiano recitando o si muovano nella realtà. L'ambiguità è già tutta all'inizio, quando scopriamo che l'attrice ha lo stesso nome della protagonista del romanzo di von Sacher-Masoch. Vanda è Wanda, ma anche... qualcun'altra. Il sospetto che la Vanda reale sia un ulteriore personaggio arriva presto. Il rovesciamento di ruoli è doppio. Poi, d'improvviso, anche Thomas e Vanda si scambiano i ruoli (lui diventa lei, e chissà che il riferimento non sia al mito di Venere che nacque dallo sperma di Urano, dio del cielo, quando i suoi genitali furono gettati in mare dopo la castrazione ad opera del figlio Crono). Qui l'inversione diventa "politica" (cfr. la Fig. 2). E tutto diventa più intrigante, preparando la strada al finale.


Fig. 2 - Scambio di ruoli

Il finale è aperto. Si chiudono per noi le porte del teatro, ma la rappresentazione non è ancora terminata. Il cinema è arte del tempo, come ha detto Edgar Reitz, sicché Crono recide anche questo fallo. Un taglio-cornice che ci rende consci della rappresentazione messa in scena. Ci dovremo far bastare il fatto di aver assistito al suo farsi. Il film è stato la rappresentazione di una rappresentazione. Altro giro, altra corsa.

Titoli di coda colti, con una breve galleria di Veneri, che si chiude con quella di Milo (l'Afrodite citata nella pièce). Per una volta, conviene restare a guardare, e provare a giocare con le possibili connessioni.

Un film intimo, ma con una distinta vocazione politica. Grandissima recitazione (anche se Amalric, qui a forma di Polański, continua a non convincermi del tutto). Divertimento di sguardi, esercizio di stile e abilità. Gioco di potere tra gli interpreti, e tra regista e spettatori. Enigmistica della seduzione. Cherchez la femme! 4/5

Nessun commento:

Posta un commento