sabato 1 novembre 2014

Q (L. Bouhnik, 2011)

Q è un film femmina. Non "per donne", o "rosa", "al femminile" o "femminista", si badi. Ma proprio "femmina", di genere femminile.

La distanza tra maschile e femminile sta, ovviamente, nel sesso. E di sesso, in questo film, ce n'è tanto, ai limiti dell'hardcore, ma rappresentato in un modo mai visto prima. In primo luogo, perché non un centimetro di nudità viene sciupato per scopi extra-diegetici o per fini di mera exploitation. In secondo luogo, perché è un sesso straniante, imprevisto, molto vero e non di maniera, che ha un'autenticità autolesionista. Un sesso messo in scena con grandissima potenza e competenza. Ed è già quanto dire, se pensiamo alle riserve di Bazin.

Nella prima sequenza, un gruppo di donne nude, fotografate da una luce azzurra, discute di sesso in una doccia. Alla fine della sequenza, una di loro - inquadrata, come le altre, all'altezza del pube - ci dice: "Sei il benvenuto!" (cfr. la Fig. 1). Ma non è affatto ciò che sembra. È una minaccia. Non sarà un viaggio facile, né comodo.


Fig. 1 - Sei il benvenuto...

Nel film si sviluppano una serie di storie, che a volte si toccano, di cui sono protagoniste due ragazze molto diverse tra loro: Cécilia (Déborah Révy) e Alice (Helene Zimmer). C'è anche una terza storia minore, che riguarda una donna più matura. Il luogo geometrico di questi incontri è il porto di Calais, che dalla Francia per mezzo d'un traghetto porta a Dover, in Inghilterra. Un luogo simbolico del partire e dell'arrivare. Gli intrecci sono tangenti stocastiche, favorite da un caso rohmeriano, che finisce col produrre un'interessante tessitura narrativa. Racconti di donne alle prese con gli uomini.

L'indagine sul desiderio femminile, condotta da Laurent Bouhnik, è suggestiva, scientifica e, per certi versi, miracolosa. Egli si muove con estremo rispetto e straordinaria onestà in un territorio difficilissimo da avvicinare, conoscere, e ancor più rappresentare, soprattutto per un maschio. Ma il regista riesce a frodare il triviale sguardo maschile, seducendolo con stilemi da film porno, per poi sbattergli in faccia l'epifania d'un esaudimento impossibile, d'una drammatica inadeguatezza, di un'impotenza essenziale, di una castrazione latente. Non a caso, gli unici momenti di verità e godimento sono riservati alle parentesi azzurre (non rosa!) degli spogliatoi e delle docce tra donne, o ai rapporti lesbo. Nel film non c'è rapporto eterosessuale che determini appagamento. Anzi, la relazione sessuale con gli uomini a un certo punto non può che ridursi a sineddoche. Il sesso non è sesso, bensì un favore episodico, uno scambio, un bene d'acquistare, un gioco delle parti, o persino pietà (cfr. la Fig. 2). L'unico rapporto eterosessuale che funziona è quello tra un marito ed una moglie che, però, devono censurare i loro volti, per potersi riconoscere carnalmente. A loro insaputa, si direbbe.


Fig. 2 - Pietà

I maschi ne escono con le ossa rotte. Sono didascalie viventi, dediti alle guerre tribali e al potere, disorientati da un neocapitalismo che gli ha sottratto il lavoro come spazio identitario. Sono degli eterni incompiuti, alla ricerca di pezzi di femmina, di frammenti di corpi, di figurine mancanti, di altre porte d'aprire (cfr. la Fig. 3); sono, soprattutto, incapaci d'amare. Il conflitto è quello segnalato da Recalcati (che legge Jaques Lacan), in Ritratti del desiderio (2012), tra il desiderio maschile delle parti ed il desiderio femminile del segno, del testo, del discorso.


Fig. 3 - L'infinita ricerca della porta giusta

L'esito finale è la rassegnazione a relazioni di tipo probabilistico tra uomo e donna, a leggi del desiderio provvisorie e falsificabili, entro cui si stabiliscono i nuovi modelli dell'erotismo tardo moderno. Un esito che ridisegna definitivamente l'ideale deterministico della tradizione romantica, sbarazzandosi dei padri (come fa Cécilia, con le ceneri del suo). Al regista Bouhnik va il merito d'essere riuscito a scriverne un report credibile, aiutato da attori giovani, ma bene in parte. Peccato per la sceneggiatura un po' intorpidita. Un film abbastanza sotterraneo, ma degno di attenzione. Schiettamente post-positivista. 4/5

Il trailer del film

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