martedì 24 giugno 2014

I buchi neri (P. Corsicato, 1995)

I buchi neri sono ciò che rimane dopo la morte d'una stella. Sono regioni dello spazio-tempo con un campo gravitazionale così forte, che nulla al loro interno può più sfuggire verso l'esterno. Secondo la teoria della relatività generale, il campo gravitazionale è prodotto dalla deformazione dello spazio-tempo, dovuta alla presenza d'una massa enorme. Lo spazio viene talmente "curvato", che tutto ciò che gli sta intorno gli cade dentro, come un liquido attratto da un gorgo. E proprio da questa immagine inizia il secondo lungometraggio di Pappi Corsicato, dopo Libera del 1993. Qui il liquido (l'urina) non è certo nobile, e il buco nero (un cesso) tutt'altro che spettacolare, ma il senso è quello.

Adamo (Vincenzo Peluso), il protagonista della storia, lascia il "fidanzato" (rimasto letteralmente in mutande) e torna al paesello, in seguito alla morte della madre. Qui viene attratto dal campo gravitazionale di altri buchi neri (e stavolta la metafora allude agli orifizi corporei), anche questi capaci d'attirare con una forza invincibile qualunque cosa gli stia attorno, come recita un vecchio adagio dell'Italia del Sud, in cui il film è ambientato ("Tira di più un pelo di sticchio in salita, che un carro di buoi in discesa"). Ovviamente, succedono cose strane, come del resto prevede la relatività einsteiniana. Difatti, il film sfrutta tutte le tonalità del grottesco e dell'assurdo, per restituircene la complessità. E così, mischiando Pasolini con Russ Meyer, Buñuel con Almodovar, Andy Warhol con i vecchi peplum, senza dimenticare la commediaccia italiota degli anni Settanta (di passaggio, viene addirittura esplicitamente citato San Pasquale Baylonne protettore delle donne, il film con Lando Buzzanca), Corsicato riesce a comporre un film davvero (ec)centrico; un altrove, nell'asfittico panorama del cinema indigeno degli anni Novanta (e non solo). Un film fotografato benissimo, bagnato da una luce accecante, e recitato con divertimento (c'è pure una Manuela Arcuri piuttosto ruspante).

I buchi neri, questi invincibili poli d'attrazione nelle nostre esistenze - pare che sia questa la morale del film - sono prodotti dall'"ammore", che tutto mischia e attrae, costruisce e smonta, sana e ammorba. E così, nei frequenti collassi della calura erotica, pure le cose più assurde si possono verificare. Tra i freaks di Corsicato (soprattuto donne) non manca nulla: una muta che canta, un vecchio che ha parlato con gli extraterrestri, una vergine gravida, un'adolescente col corpo d'una vecchia... Sono stranezze che fanno diventare assolutamente normale (perché più plausibile) l'ambiguità omosex di Adamo (bravò!). Sono stranezze che si trasformano in "miracoli" agli occhi d'un sottoproletariato pop meridionale che, come voleva Pasolini, hanno (avevano?) ancora conservato per un attimo fuggente l'esperienza del magico, prima dell'ecatombe antropologica prodotta dalla TV. 

A proposito, l'ultima considerazione è di natura "politica". Ho finalmente visto la versione del film uscita nelle sale, perché ero in possesso d'una copia trasmessa in TV. O, forse, dovrei dire "massacrata" in TV. Ma è mai possibile trattare un film (peraltro, uno degli migliori film italiani degli anni Novanta) in questo modo? Tanto vale rinunciare a trasmetterlo. Questi sì che sono buchi neri! Weird. (4/5)

Alcune sequenze del film

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