mercoledì 8 ottobre 2014

Il grande Gatsby (The Great Gatsby, Baz Luhrmann, 2013)

Il grande Gatsby è un adattamento dell'omonimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald del 1925. Un adattamento abbastanza (anche se non del tutto, soprattutto nel finale) fedele al romanzo, almeno per quanto riguarda l'intreccio; ma confezionato con la spessa cifra stilistica ed espressiva del regista Baz Luhrmann, già autore dello scintillante Moulin Rouge! (2001).

Uno dei temi del film, forse il principale, è quello della contrapposizione tra vero e falso: dove ciò che è falso sembra vero, e ciò che è vero sembra falso. L'impero e il personaggio di Gatsby sono fittizi. Il rapporto tra Daisy e Tom, il riccone che ha sposato, è finzione. E fasulli sono i titoli che circolano nella Wall Street d'inizio secolo, come l'America scoprirà drammaticamente di lì a poco, nell'ottobre del 1929. Il mondo stesso è una grande rappresentazione, tra retrobottega segreti (siamo negli anni del proibizionismo) e inediti palcoscenici (il cinema sta conoscendo il fenomeno del divismo), come nelle feste effervescenti, alcoliche e barocche, celebrate da Gatsby.


L'idea di una potente illusione schopenhaueriana pare trapelare esplicitamente dall'allestimento di Luhrmann, con l'uso deliberatamente eccessivo della grafica computerizzata e del 3D (finalmente usato con consapevolezza) a sostenerne il gioco. Una certa impressione di posticcio, infatti, permea tutto il film, e il velo di Maya evocato dal filosofo tedesco sembra miracolosamente prendere forma di fronte i nostri occhi. Del resto, il romanzo stesso di Fitzgerald è profondamente schopenhaueriano. E non solo nel richiamo al tema della rappresentazione. Vi ritroviamo anche, fortissimo, il tema della volontà, che ne Il mondo come volontà e rappresentazione (1819) ha il compito di squarciare il velo, per riuscire a cogliere la realtà. Quando Gatsby dice di "voler" (e potere) rivivere il passato, in fondo, allude a questo. Tornare indietro vuol dire riattivare possibilità, ridefinire il mondo, sperare in un esito diverso delle nostre decisioni. Non a caso, alla fine, Gatsby rimane l'unico personaggio positivo di questa vicenda. È la sua volontà che lo salva. E, a proposito del caso, a proposito di questi destini appesi a un filo, e di quel raggio verde che lo simboleggia nel film, non possiamo, nel frattempo, non pensare a un piccolo omaggio al grande Eric Rohmer.


Schopenhauer aveva visto nella musica un'espressione particolarmente significativa della "volontà" di vivere. E proprio la musica, nel film, assume un'importanza cruciale, svolge un ruolo demiurgico. Luhrmann miscela con estrema disinvoltura musica jazz e dance contemporanea, sortendo un effetto di straniamento davvero notevole (lo stesso visto nella Maria Antonietta di Sofia Coppola). Probabilmente, ci vuole dire che, in ultima analisi, la società non è cambiata molto rispetto al 1922, anno in cui sono ambientati il romanzo e il film. La musica è sempre quella. E la finzione, l'ipocrisia non ha cessato d'infestare la società.


Il film si avvale, soprattutto nella prima parte, di un vertiginoso montaggio pop, d'una azzeccatissima fotografia elettrica (l'unico modo, forse, per disinnescare in modo convincente il destino d'uno stereotipato e prevedibile black and white), e di una recitazione di grande livello (su tutti, un Di Caprio in gran spolvero; mentre l'ultimo della classe mi è parso il povero Tobey Maguire). Un gran film rock! 4/5

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