mercoledì 12 aprile 2017

Antares (G. Spielmann, 2004)

Tre storie s'intrecciano in un anonimo condominio della periferia austriaca, appese a un destino ch'è figlio della relazione tra caos e necessità. Vari personaggi si muovono in bilico tra la tragedia e il ridicolo. E breve, quasi naturale, è il passaggio dall'amore alla violenza. Le relazioni tra amanti sembrano riecheggiare quell'epigrafe posta da Musil all'inizio de I turbamenti del giovane Törless: "Noi togliamo stranamente valore alle cose non appena le pronunciamo. Crediamo d'esser scesi sul fondo degli abissi, [...] c'illudiamo d'aver scoperto una massa di tesori, e quando torniamo alla luce non abbiamo portato con noi che pietre false e pezzetti di vetro. Eppure, nell'oscurità, il tesoro conserva immutato il suo luccichio".

Götz Spielmann ci conduce con la freddezza entomologica del suo sguardo di vetro in una periferia urbana fotografata con tonalità livide (opposte a quelle di Marte-Ares, il pianeta rosso e dio della guerra), attingendo ad un'estetica che abbiamo imparato a conoscere in altri registi del nuovo cinema austriaco come Ulrich Seidl o Michael Haneke. 

Il film è forte (soprattutto nelle crude scene di sesso), ma atono. Nonostante le situazioni raccontate, non c'è mai l'urlo: la guerra, appunto (di qui, probabilmente, il titolo: Antares, l'anti-Ares, il rivale di Ares); e non c'è alcuna concessione al romanticismo. È silente (manca quasi del tutto il commento musicale extradiegetico) e quasi anestetizzato (torna spesso il motivo dell'ospedale). Gli individui sono rinchiusi, addomesticati e svuotati come i loro animali domestici o quelli di peluche, che ritornano spesso nel film. La frase più sensata è quella che, significativamente, un anziano paziente riferisce all'infermiera che è protagonista del primo episodio: "le persone amano auto-ingannarsi". Solo che qui non c'è neanche il gusto di farlo. 

Un film notevole, che resta a interrogarti per giorni, senza un perché. Non è tanto il racconto, infatti, a suscitare questo supplemento di riflessione, quanto i "modi" della messa in scena, e il lavoro che il regista sembra fare sulle emozioni come merce, trasformando pezzi di vetro in diamanti e viceversa, in un percorso tra alienazione e serialità dell'odierna condizione umana (una delle protagoniste, non a caso, è la cassiera di un supermercato).

La nuova finestra sul cortile. Da vedere, ma è difficile che passi in TV. 4/5

Qui il trailer del film.

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