PANOPTICON
"Die Grenzen meiner Sprache bedeuten die Grenzen meiner Welt" (L. Wittgenstein)
venerdì 3 febbraio 2023
Scappa (Get out, J. Peele, 2017)
sabato 5 dicembre 2020
Sto pensando di finirla qui (I'm Thinking of Ending Things, C. Kaufman, 2020)
Attraverso l’uso anaforico dell’espressione “sto pensando di”, vengono poste sul tavolo, nel corso d'un viaggio che non è solo fisico ma anche simbolico, tutta una serie di questioni che affollano la mente della protagonista (e non solo di lei), in un flusso di coscienza che ha la stessa nobiltà di quelli costruiti da Joyce. La matrice letteraria del film è, comunque, l'omonimo romanzo di Iain Reid del 2016. L’elemento in comune che contraddistingue tali questioni è l’esplorazione dell’esperienza del mondo, che è allo stesso tempo Erfahrung ed Erlebnis, come ci hanno insegnato i filosofi tedeschi. E allora nel film vediamo magistralmente, quasi miracolosamente, sovrapporsi numerosi piani: presente, passato e futuro, realtà e soggettività, spazi fisici e spazi mentali, fatti reali e fatti possibili o pensati, progetto e improvvisazione, caso e destino. Sto pensando di finirla qui è, per certi versi, un film “quantistico”. Certo, viene citata la "formula dell'amore" di Paul Dirac, ma soprattutto pare di vedere all'opera in modo plastico il principio d'indeterminazione di W.K. Heisenberg; il fatto, poi, che i due protagonisti principali del racconto siano due scienziati è più d'un indizio.
La messa in discussione della realtà che è centrale nel film sembra una filiazione del gigantesco dibattito che ha coinvolto, nel Novecento e oltre, almeno quattro discipline e i rispettivi livelli della realtà: fisica, neuroscienze, arte e filosofia. Il film ha quasi la forma d'un trattato scientifico: sembra d'intravederne abstract, citazioni, dati e nota metodologica. Perfino l'impact factor finale con attese da premio Nobel. Un film-saggio che denuncia, sulla falsariga dei lavori oggi fondamentali del neuroscienziato Antonio Damasio, l’"errore di Cartesio", la separazione tra corpo e mente. Questione esplorata anche nell'incredibile carteggio tra lo psicologo Carl Gustav Jung e il fisico Wolfgang Pauli e raccontata in termini divulgativi da Charles P. Snow nel suo pamphlet sulle due culture. Una dicotomia, tuttavia, che ne richiama altre e, tra queste, quella tra scienza e arte (sul tema, mi permetto di rimandare al documentatissimo saggio si Stefano Poggi, L'anima e il cristallo, il Mulino, 2014).
Lo splendido, spiazzante, imprevedibile finale ci mostra l'approdo contemporaneo di quel dibattito novecentesco, all'insegna della conciliazione proprio tra arte e scienza, che in fondo è, paradossalmente, tutta romantica (non era forse proprio Goethe uno scrittore-scienziato?), dopo la grande fatica d'aver dovuto mettere tra parentesi ogni certezza. Come scriveva John Lennon, “life is what happens to you while you’re busy making other plans”. Una fatica che ci ha disorientati, messi a disagio e fatto letteralmente paura, come in un horror. Perché questo è anche un film gotico contemporaneo (e qui potrei rimandare al saggio di Federico Boni sulla serie TV American Horror Story). Tra le righe, ad esempio, m'è parso d'intravedere un omaggio allo Shining kubrikiano, oltre a tanti altri (memorabile la discussione su Una Moglie di John Cassavetes, per certi versi un altro film sull'orrore borghese americano e le sue conseguenze psicologiche).
Quello di Kaufman potrebbe essere uno dei film, ma anche dei saggi, del secolo. Da proiettare nelle scuole di ogni ordine e grado, come si diceva una volta. Ci si potrebbe organizzare un corso monografico universitario post-disciplinare. Perché questo è cinema di grado superiore al secondo. Intanto, si può ammirare su Netflix.
venerdì 20 novembre 2020
Liberté (A. Serra, 2019)
domenica 15 novembre 2020
Midsommar - Il villaggio dei dannati (Midsommar, A. Aster, 2019)
giovedì 20 agosto 2020
Il sacrificio del cervo sacro (Y. Lanthimos, 2017)
I film di Yorgos Lanthimos non lasciano mai indifferenti. Non fa certo eccezione Il sacrificio del cervo sacro, uscito nel 2017, una sorta d'ibridazione fra Teorema di Pasolini (1968) e Eyes wide shut di Kubrick (1999), anche se i riferimenti meta-cinematografici sono assai di più (De Palma, Friedkin, Tarkovskij e altri). Un’ibridazione non solo tematica, ma anche filosofica, sull’irruzione del desiderio adulto e delle sua forza devastatrice in un contesto borghese. Un tema, certo, non nuovo sul grande schermo e in letteratura.
Lanthimos rivolge la sua riflessione, che tocca anche altre questioni correlate, al momento del passaggio degli individui dalla fanciullezza all’adolescenza. Non è un dettaglio che i giovani protagonisti del film siano una ragazza che ha appena avuto la sua prima mestruazione (ricordate Carrie?) (Raffey Cassidy, nel ruolo di Kim) e un ragazzo alle prese con le sue prime polluzioni (Sunny Suljic, nel ruolo di Bob), entrambi figli di due affermati medici (Colin Farrell e Nicole Kidman). Sono loro che entrano nel labirinto dell’adolescenza e del successivo mondo adulto; un labirinto ch’è suggerito dai movimenti della macchina da presa, la quale sfrutta la profondità (ottenuta anche sfruttando delle disturbanti ottiche fisheye alla De Palma, oltre che i carrelli) a scapito della orizzontalità, e che a tratti ci riportano ad una sorta di punto d’osservazione paradossale, come in una tavola di Escher (cfr. la Fig. 1).
Fig. 1 - Prospettive escheriane |
Kim e Bob stanno dunque per entrare in una nuova fase della vita, e questo passaggio comporta tutta una serie di traumi, simbolicamente evocati da fenomeni, malattie e mutazioni che s’abbattono sui loro corpi. Il mondo adulto non capisce. Neanche il giovane Martin (interpretato dal bravissimo Barry Keoghan), già sedicenne e dunque testimone del passaggio, una sorta di traghettatore, di Caronte dolente, può salvare l’innocenza dei ragazzi, i quali sono però ancora capaci di vedere l'altra parte del mondo (tema romantico per eccellenza, Erlebnis contro Erfahrung). Egli rimane una Cassandra inascoltata, un indovino senza credito, pur essendo il demiurgo della storia, testimone delle colpe degli adulti, del loro desiderio inappagato e inappagabile, delle loro pulsioni malamente sublimate (o consumate in "anestesia generale"); testimone persino del fallimento della scienza (medica, in questo caso). Comprendere una persona, la sua anima, una relazione, il senso e il destino va al di là delle analisi del sangue o del liquor cefalorachidiano, di un ECG, delle radiografie, delle risonanze magnetiche (il campionario è pressoché completo e ricorda cose viste negli horror di Friedkin).
Bob e Kim appaiono vittime del mondo adulto e di un destino che colpisce alla cieca e che non dipende dai talenti delle persone (significativo il colloquio del padre dei ragazzi col preside della scuola). Sono costretti a guardarlo il mondo adulto, ma con la conseguenza d'arrivare a farsi sanguinare gli occhi o d’imparare presto le retoriche seduttive e manipolatorie dei padri (impressionante il ragionamento del piccolo Bob rivolto al genitore, verso la fine del film). Non è prevista salvezza (cfr. la Fig. 2), neanche nell'apparentemente sicuro rifugio borghese (figurarsi!), e a dispetto dei riferimenti religiosi e letterari presi in prestito da regista e sceneggiatore (su tutti, l’Ifigenia in Àulide di Euripide, dalla quale deriva anche il riferimento al cervo).
Fig. 2 - Nessuna salvezza |
Il sacrificio del cervo sacro è l’ennesimo gran film di Yorgos Lanthimos, che muove il suo sguardo catatonico e spaesato e dirige un pugno di grandi attori con l’efficacia e la sapienza del maestro consacrato. Il film, che ritorna in qualche modo ai temi di Dogtooth (2009), ne costituisce una sorta di slargo filosofico e sociologico, mettendo solo in parte sullo sfondo la chiave surreale. Attori tutti in grandissima forma e tensione narrativa costante per tutte le due ore del film. Commento sonoro doloroso e affilato come un coltello. Un film assassino e ateo da guardare senza fazzoletti.